IL PASSAGGIO DAL G20 ALLA COP26: 

DOVE STA BLA BLA?

LE CONCLUSIONI DEL VERTICE DI ROMA E LE PREMESSE NON BUONE DELLA CONFERENZA DI GLASGOW

considerazioni personali di Alfonso Navarra (1 novembre 2021)

A esaminarlo bene il G20 di Roma che ha da poco chiuso i suoi lavori ha varato un compromesso di basso profilo in preparazione della COP26 che invece è appena iniziata a Glasgow.

In sostanza i G20 vogliono raggiungere la neutralità climatica non alla scadenza precisa del 2050 ma, genericamente, intorno alla "metà del secolo" e si impegnano a mantenere il riscaldamento globale entro un aumento di 1,5 gradi di temperatura, come chiedono gli accordi originari di Parigi del 2015, che non indicano una data limite ma parlano di "lungo termine".

Ecco il testo:


Riconosciamo che gli impatti del cambiamento climatico a 1,5°C sono molto inferiori rispetto a 2°C. Mantenere 1,5°C a portata di mano richiederà azioni e impegno significativi ed efficaci da parte di tutti i paesi, tenendo conto di diversi approcci, attraverso lo sviluppo di chiari percorsi nazionali che allineino l'ambizione a lungo termine con obiettivi a breve e medio termine e con la cooperazione internazionale e sostenere, compresa la finanza e la tecnologia, il consumo e la produzione sostenibili e responsabili come fattori abilitanti critici, nel contesto dello sviluppo sostenibile. Attendiamo con impazienza una COP26 di successo.

Ma la neutralità climatica entro "metà secolo" non è la stessa cosa di indicare il 2050, l'obiettivo fissato in modo esplicito dai paesi dell'Unione Europea. Scrivere "metà secolo" nelle conclusioni finali del vertice di Roma significa assecondare la richiesta di Pechino di poter raggiungere zero emissioni anche nel 2060. Dunque questo summit fa una marcia indietro rispetto alla scadenza.

In questo sforzo, informati dalle valutazioni dell'IPCC, accelereremo le nostre azioni attraverso la mitigazione, l'adattamento e la finanza, riconoscendo l'importanza fondamentale di raggiungere emissioni nette globali di gas serra pari a zero o la neutralità del carbonio entro o intorno alla metà del secolo e la necessità di rafforzare sforzi globali necessari per raggiungere gli obiettivi dell'accordo di Parigi.

Inoltre i G20 si sono ritrovati nell'impegno dei 100 miliardi di dollari all'anno per sostenere la transizione ecologica nei paesi più poveri. C'è la promessa di più da parte di "alcuni paesi", come Italia e Francia, per superare questa cifra, che finora non è mai stata raggiunta, ma non è messa per iscritto. Si tratta infatti di un vecchio accordo risalente al 2009. Finora i ricchi hanno donato ai più poveri meno di 80 miliardi l'anno. Dunque, anche sulla cosiddetta 'finanza climatica', la moneta di scambio per convincere i paesi in via di sviluppo a rinnovare le proprio fonti di energia, i passi in avanti non sono molti. Anche perché non è precisato come questi aiuti dovrebbero venire erogati: contributi a fondo perduto o ancora prestiti?

Ci impegniamo inoltre ad aumentare i finanziamenti per l'adattamento, al fine di raggiungere un equilibrio con la fornitura di finanziamenti per la mitigazione per affrontare le esigenze dei paesi in via di sviluppo, anche facilitando meccanismi, condizioni e procedure per accedere ai fondi disponibili, adottando strategie, priorità e bisogni nazionali in considerazione. Ricordiamo e riaffermiamo l'impegno assunto dai paesi sviluppati, per l'obiettivo di mobilitare congiuntamente 100 miliardi di dollari all'anno entro il 2020 e annualmente fino al 2025 per affrontare le esigenze dei paesi in via di sviluppo, nel contesto di azioni di mitigazione significative e trasparenza sull'attuazione e sottolineare il l'importanza di raggiungere pienamente tale obiettivo il prima possibile. A questo proposito, accogliamo con favore i nuovi impegni assunti da alcuni dei membri del G20 per aumentare e migliorare ciascuno i propri contributi globali di finanziamento pubblico internazionale per il clima fino a 2025 e attendiamo con impazienza nuovi impegni da parte di altri.

Le conclusioni del vertice di Roma contengono anche un impegno a "intraprendere ulteriori azioni" sul clima in questo decennio. Si è discusso a lungo sull'indicazione della data per le ulteriori azioni, se scrivere negli anni '20 o lasciarla indefinita. Alla fine si sarebbe raggiunto un accordo - spiegano fonti diplomatiche - sull'indicazione di "questo decennio". Anche qui formula che non fissa scadenze precise.

Ed altrettanto fumoso è il riferimento all'eliminazione dei finanziamenti alle fonti fossili, tranne che le fonti internazionali di finanziamento per il carbone: non saranno più disponibili per la fine dell'anno.

Aumenteremo i nostri sforzi per attuare l'impegno assunto nel 2009 a Pittsburgh per eliminare gradualmente e razionalizzare, a medio termine, i sussidi ai combustibili fossili inefficienti che incoraggiano lo spreco e ci impegneremo a raggiungere questo obiettivo, fornendo al contempo un sostegno mirato ai più poveri e il più vulnerabile.

(...)

Ci impegniamo a mobilitare finanziamenti pubblici e privati ​​internazionali per sostenere lo sviluppo di un'energia verde, inclusiva e sostenibile e porremo fine alla fornitura di finanziamenti pubblici internazionali per la nuova e ininterrotta produzione di energia dal carbone all'estero entro la fine del 2021.

All'apertura della COP26 di Glasgow ora tutti ci si chiede quanto e come gli Stati ivi convenuti si decideranno a tagliare le emissioni. Ma già è molto significativo il fatto che sia stata abbandonata l'ipotesi delle quote obbligatorie concordate di comune accordo. I tagli "ambiziosi", ammesso che ci si arrivi, sono comunque un ripiego. Parlando di tagli volontari, se la somma degli impegni nazionali sarà consistente, si potrà mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 2 gradi dai livelli pre-industriali (l'obiettivo minimo dell'Accordo di Parigi), o anche al di sotto di 1,5 gradi (l'obiettivo massimo). Se si va avanti con il trend delle promesse attuali, l'aumento schizzerebbe su a 3°C. Dovremo, in questo caso, sicuramente affrontare desertificazione ed eventi meteo estremi, con la conseguenza di fame diffusa e migrazioni bibliche ... e naturalmente guerre sempre più disastrose.

Quando hanno firmato l'Accordo di Parigi, nel 2015, gli Stati dell'Onu hanno preso degli impegni per ridurre le emissioni. Si chiamano Ndc, Nationally Determined Contributions.
Ogni 5 anni questi impegni devono essere rivisti. La revisione doveva avvenire l'anno scorso, ma la Cop26 di Glasgow è stata rimandata di un anno per la pandemia.
Oggi siamo arrivati ad una stretta. Nella capitale scozzese, i firmatari degli Accordi di Parigi dovranno dire quanto vogliono tagliare le loro emissioni climalteranti. Quanto vogliono essere "ambiziosi" in questo senso.

Gli impegni presi a Parigi (generici e poco vincolanti) si sono rivelati insufficienti per mantenere il riscaldamento globale sotto i limiti previsti dall'Accordo. Con gli Ndc attuali, gli scienziati prevedono che nel 2100 arriveremo, come si accennava, se va bene, da +2,6 a +2,7 gradi. A parole, tutti gli stati del mondo sono d'accordo che la crisi climatica sia un'emergenza, e che sia necessario accelerare sulla decarbonizzazione. Ma quando si tratta di passare ai fatti, i problemi saltano fuori. L'agenzia dell'Onu per l'ambiente, l'UNEP, ha denunciato che i governi del mondo continuano a investire sui combustibili fossili, e che molti non hanno neppure mantenuto gli impegni presi a Parigi.

Gli stati più ricchi e industralizzati (Usa, Ue, Giappone, Gran Bretagna, Canada), quelli che possono permettersi ingenti investimenti per la decarbonizzazione, negli ultimi tempi si sono impegnati a tagli più consistenti delle emissioni. L'Unione europea punta a una riduzione del 55% al 2030. Il problema è che non è detto che ce la facciano. Uscire dalle fonti fossili richiede tempo e investimenti massicci. Le lobby del carbonio fanno resistenza, e molti operai temono di rimanere senza lavoro.
Ma il problema maggiore sono le economie emergenti. Cina e India, che pur investendo fortemente sulle rinnovabili, sono restie ad abbandonare rapidamente le fonti fossili, per non rallentare il loro sviluppo. Pongono all'Occidente il problema delle emissioni pregresse: e non hanno tutti i torti. Non bisogna valutare solo quanto si emette oggi, ma anche quanto è stato già scaricato dal 1850 ad oggi!

La Cina, "fabbrica del mondo", è oggi il primo emettitore di gas serra, con oltre 10 miliardi di tonnellate all'anno. Gli Stati Uniti sono i secondi con 5,285 miliardi di tonnellate, l'India terza con 2,616. miliardi Se i paesi emergenti, per quanto meno responsabili nel passato, non tagliano drasticamente, gli sforzi dei paesi ricchi serviranno comunque molto relativamente (la Ue produce solo l'8% dei gas serra). Pechino ha preso un impegno generico ad arrivare a zero emissioni nel 2060, New Delhi neppure quello.

Poi ci sono le potenze petrolifere, come Russia e Arabia Saudita, che naturalmente fanno fatica a decarbonizzare per il ruolo che giocano attualmente nella divisione internazionale del lavoro. E infine ci sono i paesi meno sviluppati, che non hanno proprio le risorse economiche per farlo, e che subiscono i danni maggiori della crisi climatica.
Oltre all'aggiornamento degli Ndc, la Cop26 deve prendere altre tre decisioni importanti, già programmate nell'Accordo di Parigi e mai attuate.

Deve attivare il fondo da 100 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi poveri a decarbonizzare, deve definire il mercato internazionale delle emissioni di carbonio (come l'Ets europeo) previsto dall'articolo 6 dell'Accordo, deve completare il "Paris Rulebook", cioè l'insieme delle regole per attuare l'Accordo e per valutare quanto viene fatto da ciascun paese.

Ed infine c'è l'ultima decisione, finora non prevista ma che a nostro avviso non può essere elusa: inserire la valutazione dell'impatto delle attività militari e quindi il loro taglio come soluzione...

Proprio questo punto ci dà adito ad una ultima osservazione: occhio che non esiste solo il bla bla dei potenti che promettono e non agiscono. La demagogia degli slogan vuoti può affliggere anche certo movimentismo, pur se animato di buone intenzioni.

Si legga ad esempio un appello che sta circolando con successo (già raccolte 1 milione di firme!) e che porta la prima sottoscrizione di alcune giovani attrazioni mediatiche (dovrebbero, secondo la stampa, rappresentare esaustivamente tutti gli ecologisti: speriamo proprio di no).

Come cittadini di tutto il Pianeta, chiediamo con urgenza (ai governi nella COP26) di contrastare l'emergenza climatica. Non l'anno prossimo. Non il mese prossimo. Adesso. È fondamentale:

  • Continuare a perseguire l'obiettivo fondamentale di 1,5°C, riducendo immediatamente e drasticamente le emissioni annue, con un atto coraggioso mai visto prima d'ora.
  • Porre fine immediatamente a tutti gli investimenti in combustibili fossili, i sussidi e i nuovi progetti e fermare nuove esplorazioni ed estrazioni.
  • Smettere di contare la riduzione di CO2 in modo "creativo", pubblicando le emissioni totali per tutti gli indici di consumo, le catene di approvvigionamento, l'aviazione e la navigazione internazionali e la combustione della biomassa.
  • Consegnare i 100 miliardi di dollari che avete promesso ai paesi più vulnerabili, con fondi aggiuntivi per i disastri climatici.
  • Adottare politiche climatiche per proteggere i lavoratori e i più vulnerabili, e ridurre tutte le forme di disuguaglianza.

Si parla, da parte di queste appassionate attiviste, di chiudere subito con gli investimenti per le fossili (come? proibendo le attività delle compagnie energetiche?) ma le rinnovabili non sono citate nemmeno di striscio. E del problema delle emissioni militari nemmeno l'ombra...