— DOSSIER CLIMA DI MISSION MEDITERRANEO (a cura di Ennio La Malfa)—
Un contributo per la prossima COP 26 di Glasgow
La COP 26 di Glasgow potrebbe rappresentare "l'ultima possibilità di invertire la deriva della società umana verso la catastrofe climatica globale". Una seria ipoteca sul nostro futuro se non scaturiranno impegni seri e vincolanti da parte di tutti i Paesi del globo. Se anche questa volta sarà, come dice Greta Thunberg, un altro " bla, bla, bla..."allora aspettiamoci situazioni prossime climatiche e ambientali sempre di più insostenibili.
L'aumento esponenziale della popolazione terrestre, la riduzione drastica dei suoli agricoli, la scarsezza dell'acqua in molte regioni del pianeta, l'arrivo di nuove pandemie, ecc. ecc. non giocano a favore del nostro futuro. Ecco perché l'appuntamento di Glasgow è da considerare con estrema attenzione.
Per questo motivo Ecoitaliasolidale, EURISPES, Marevivo, Movimento Azzurro, SIGEA ed altri movimenti ambientalisti, hanno dato mandato a noi di Mission Mediterraneo, per il tramite di Ennio Cabiddu presente direttamente con accredito alla Conferenza ONU, di esprimere tutto il proprio sostegno culturale e morale al prossimo summit di Glasgow.
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COME NEL PASSATO IL CLIMA DEL PIANETA CONDIZIONA LA VITA DELL'UOMO
Il Clima ha condizionato sempre la vita su questo pianeta incidendo profondamente sulla stessa evoluzione del mondo animale, dalle forme più elementari a quelle più complesse, compresi gli uomini. Gli uomini, come abbiamo già visto, da ominidi ad homo sapiens e con il tempo da semplici aggregazioni di poche persone (tribù) si sono evoluti in comunità organizzate più vaste e, dopo la scoperta dell'agricoltura, hanno cominciato a costruire i primi insediamenti urbani, scegliendo luoghi dove esistessero condizioni di vita ottimale. Tutte le grandi civiltà dell'Uomo infatti sono nate e si sono sviluppate lungo i corsi d'acqua: le famose civiltà dei fiumi. Ricordiamo: La valle dell'Indo, Il fiume Giallo, il Tigri e l'Eufrate, il Nilo e il Tevere da cui sono sorte le più grandi civiltà oggi conosciute. Il clima e le avversità atmosferiche hanno avuto sempre un importante ruolo anche nella storia dei popoli più vicini a noi nel tempo e lo conservano tutt'ora. Anche ai nostri tempi, infatti, i fenomeni climatici estremi possono ancora seriamente danneggiare le coltivazioni, ma oggi le loro conseguenze possono essere fronteggiate perché esistono, almeno per buona parte dei Paesi dell'emisfero Nord, meccanismi di controllo e di distribuzione delle derrate alimentari che possono evitare, situazioni estreme di carestia. L'aumento della popolazione del pianeta però gioca un ruolo destabilizzante in questo meccanismo, soprattutto se si somma con il fenomeno del Global Change e del Global Warming. Infatti la dove la popolazione del Sud del Mondo tende ad aumentare in maniera esponenziale anche siccità e carestie aumentano inesorabilmente. Può accadere pertanto quello che è avvenuto migliaia di anni fa: esodi di gente disperata verso i Paesi più ricchi della Terra. Una situazione che oggi ancora non è esplosa del tutto, ma se le condizioni di sopravvivenza nei PVS dovesse ancora peggiorare, allora avverrà con una dirompenza epocale che travolgerà soprattutto paesi di frontiera come l'Italia. In tutto questo oltre a far saltare le economie occidentali già in crisi, inevitabile sarà il dilagare del fondamentalismo religioso islamico, con tutti i problemi che già conosciamo. Ma l'aspetto che più preoccupa l'OMS è il ritorno di malattie dimenticate come la malaria, il vaiolo, la peste ed altre pandemie che le cronache del passato ci hanno sempre fornito con dovizie di particolari. Questi sono i rischi alla salute per un mescolamento di popoli e di comportamenti che prevediamo per il futuro, ma già adesso dobbiamo segnalare che per il fenomeno della tropicalizzazione del Mediterraneo, molte malattie sconosciute e dimenticate sono già giunte da noi. Le prime vittime sono gli animali, tutti ricorderanno la strage di ovini sardi colpiti circa dal morbo della lingua blu, una malattia endemica africana che noi abbiamo conosciuto da poco e che i nostri animali, non avendo le difese immunitarie dei cugini africani, ne sono diventati facile vittime. La lingua Blu, Blu Tongue per i tecnici, è una malattia virale veicolata da ditteri come zanzare e flebotomi (pappataci) che in passato per motivi di clima non si spingevano oltre la Tunisia. Sono poi i flebotomi che dal sud dell'Italia, grazie al riscaldamento dell'aria, sono giunti fin sotto le Alpi trasmettendo soprattutto ai cani malattie letali come la Lesmaniosi. Un fastidio, legato al riscaldamento globale che tutti noi stiamo subendo da qualche anno è la zanzara tigre. Questo è un insetto di origine asiatico giunto da noi sulle navi che trasportavano pneumatici dalla Corea e dal Vietnam. Più piccola delle zanzare nostrane, ma molto più aggressiva punge anche di giorno. E' nera con striature bianche su zampe e addome. Si riproduce nell'acqua stagnante che si forma nei sottovasi, in piccoli invasi e nei chiusini. Rispetto alle punture delle nostre zanzare, quelle di questo dittero infernale danno bruciore e prurito fino a quattro o cinque giorni. Ogni estate e inizio autunno sono migliaia in Italia le persone che richiedono cure mediche presso le strutture sanitarie a causa di complicazioni dovute alle punture di questi insetti. L'OMS a tal proposito teme la trasmissione di malattie caratteristiche asiatiche. Questi sono i rischi sanitari dovuti ai cambiamenti climatici, ma anche alla globalizzazione, vedi l'odierna pandemia da covid-19. Malattie dovute all'inquinamento dell'aria già esistono da tempo nei Paesi 5 occidentali, Italia compresa, quasi tutte sono patologie del progresso tecnologico, tra queste: le allergie, le affezioni broncopolmonari, i tumori in particolare quelli dei polmoni, senza parlare poi delle malattie della psiche, tra le quali primeggia ed è in forte ascesa la depressione. Dermatiti e patologie più gravi della pelle, come i melanomi, sono invece dovuti in gran parte alla diminuzione dello strato di ozono nell'atmosfera che non ci protegge più come una volta dai raggi ultravioletti, in particolare quelli UVB, provenienti dal Sole.
Questo è il quadro attuale, ma per il futuro come andrà?
Certamente la situazione si evolverà in peggio.
Stando alle ultime proiezioni presentate dagli scienziati prevediamo un'esasperazione dei fenomeni
meteorologici, con conseguente degrado dell'ambiente e quindi: lunghe siccità, incendi di foreste sempre
più estesi, alluvioni catastrofiche, frane e smottamenti, il tutto a danno dell'incolumità delle persone e
poi a danno dell'economia nazionale e mondiale. Gli interventi urgenti contro i danni dovuti alle
tempeste e alluvioni in questi ultimi anni sono aumentati quasi in proporzione geometrica. Si è passati da
un evento catastrofico ogni due o tre anni causato da fenomeni meteorologici, vedi l'alluvione di Firenze,
a quattro o cinque eventi ogni anno. Tutto questo ha dei costi, non solo in vite umane, ma in soldi. Buona
parte delle risorse di un Paese come l'Italia, dall'economia già fragile, finiscono per pagare i danni a cose,
animali e persone causati da questi eventi calamitosi. Vengono così sottratte ogni anno risorse destinate
al sociale e alla qualità della vita. E' questa ormai una situazione concretizzatasi sul nostro pianeta e i
grandi economisti e politici che ci gestiscono dovrebbero valutarla attentamente ... altrimenti saranno
guai seri nel prossimo futuro.
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LA FAME COLPISCE 821 MILIONI DI PERSONE. COLPA DI CLIMA E GUERRE
Il numero delle persone che soffre la fame nel mondo è in crescita: nel 2017 sono 821 milioni, vale a dire
una persona su nove. E' quanto emerge dal rapporto congiunto delle Nazioni Unite "Stato della Sicurezza
Alimentare e della Nutrizione nel mondo 2018", pubblicato l'11.09.2018.
Stando al rapporto, sono stati compiuti progressi limitati nell'affrontare le molteplici forme di
malnutrizione, che vanno dai ritardi della crescita dei bambini all'obesità degli adulti, mettendo a rischio
la salute di centinaia di milioni di persone. La fame è cresciuta negli ultimi tre anni, tornando ai livelli di
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un decennio fa. Questa inversione in atto - avvertono le organizzazioni Onu - manda il chiaro
avvertimento che occorre fare di più e con urgenza se si vuole raggiungere l'Obiettivo di Sviluppo
Sostenibile di Fame Zero entro il 2030. A livello geografico, avverte il report, la situazione sta
peggiorando in Sud America e nella maggior parte delle regioni dell'Africa, mentre la tendenza in calo
della sotto-nutrizione che ha caratterizzato l'Asia sembra aver rallentato in modo significativo.
Il rapporto annuale delle Nazioni Unite rileva, inoltre, che la variabilità del clima che influenza
l'andamento delle piogge e le stagioni agricole, oltre ad estremi climatici come siccità e alluvioni, sono tra
i fattori chiave dietro l'aumento della fame, insieme ai conflitti e alle crisi economiche.
"I segnali allarmanti di aumento dell'insicurezza alimentare e gli alti livelli di diverse forme di
malnutrizione sono un chiaro avvertimento che c'è ancora molto lavoro da fare per essere sicuri di 'non
lasciare nessuno indietro' sulla strada verso il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile in
materia di sicurezza alimentare e miglioramento dell'alimentazione", avvertono nella prefazione
congiunta al rapporto i responsabili dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e
l'Agricoltura (Fao), del Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (Ifad), del Fondo per l'Infanzia delle
Nazioni Unite (Unicef), del Programma Alimentare Mondiale (Wfp) e dell'Organizzazione Mondiale della
Sanità (Oms). "Se vogliamo raggiungere un mondo senza fame e malnutrizione in tutte le sue forme
entro il 2030, è imperativo accelerare e aumentare gli interventi per rafforzare la capacità di recupero e
adattamento dei sistemi alimentari e dei mezzi di sussistenza delle popolazioni in risposta alla variabilità
climatica e agli eventi meteorologici estremi", affermano i responsabili delle cinque organizzazioni delle
Nazioni Unite autrici del rapporto.
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ALIMENTAZIONE E CAMBIAMENTI CLIMATICI
a cura di Romualdo Gianoli
Secondo gli autori di un recentissimo studio pubblicato sulla prestigiosa rivista The Lancet, entro il 2050 il ridotto consumo di frutta e verdura, conseguente ai problemi causati all'agricoltura dai cambiamenti climatici, potrebbe portare a un aumento della mortalità, a livello globale, di oltre 500mila casi. Si tratta 11 di morti, mai previste finora, riconducibili esclusivamente agli effetti dei cambiamenti climatici sull'alimentazione. Sempre secondo le previsioni di questo studio, i Paesi più colpiti, dove si potrebbero concentrare i tre quarti dei decessi previsti, sarebbero Cina e India. Questa ricerca è la più forte evidenza scientifica, fino a questo momento, del legame esistente tra cambiamenti climatici, produzione di cibo e salute a livello mondiale. UN NUOVO PUNTO DI VISTA Lo studio, intitolato Global and regional health effects of future production under climate change: a modelling study, è stato coordinato da Marco Springmann dell'Università di Oxford nel Regno Unito, nell'ambito dell'Oxford Martin Programme on the future of food. Lo studio (che interessa 155 Paesi, fino al 2050) è il primo studio di questo genere in grado di valutare l'impatto dei cambiamenti climatici sui regimi alimentari e sulla massa corporea delle persone, quantificando anche il probabile numero di morti collegate a questi fattori. Secondo Springmann fino a oggi molte ricerche si sono occupate della sicurezza alimentare ma ben poche si sono concentrate sulle più ampie conseguenze dei cambiamenti climatici rispetto alla produzione agricola. Sono conseguenze che determinano alterazioni nella disponibilità e nell'assunzione di cibo e che influenzano comportamenti alimentari responsabili di importanti fattori di rischio come l'aumento del peso corporeo, la riduzione del consumo di frutta e verdura o l'elevato consumo di carne rossa. Sono tutti fattori che aumentano l'incidenza di malattie molto diffuse come quelle cardiache, gli ictus o il cancro e che influenzano il numero di decessi a esse collegati ma che, fino a questo momento, non erano stati tenuti nell'opportuna considerazione, specie in rapporto ai cambiamenti climatici. Per realizzare la complessa modellizzazione condotta in questo studio, i ricercatori guidati da Springmann si sono basati su un dettagliato modello di analisi delle politiche agricole, l'International Model for Policy Analysis of Agricultural Commodities and Trade (IMPACT). Questo modello è stato poi incrociato con una valutazione comparativa del rischio derivante dalla variazione del consumo di frutta e verdura, carne rossa e peso corporeo e, infine, messo in relazione alle morti per malattia coronarica, ictus, cancro e un aggregato di altre cause. Su questa base i ricercatori hanno calcolato le oscillazioni nel numero di morti riconducibili alle variazioni del peso corporeo e delle diete, indotte dai cambiamenti climatici. Questo calcolo, inoltre, è stato condotto tenendo conto di una combinazione di quattro possibili "percorsi di emissioni" (uno a elevate emissioni, due a emissioni medie e uno a basse emissioni) e tre "percorsi socio-economici" (sviluppo sostenibile, sviluppo più frammentato e uno a metà tra i due) ciascuno dei quali comprendeva sei differenti scenari con diverse variabili climatiche in ingresso. I RISULTATI Secondo il responsabile dello studio, i risultati della ricerca mostrano che anche modeste riduzioni della disponibilità di cibo per persona, possono portare a cambiamenti del contenuto energetico e della composizione delle diete alimentari, traducendosi in pesanti conseguenze per la salute. Lo studio rivela, infatti, che a meno di intraprendere azioni di contrasto ai cambiamenti climatici, questi ultimi possono ridurre di un terzo, entro il 2050, il previsto aumento della disponibilità di cibo a livello mondiale, portando addirittura a una riduzione della disponibilità di cibo a livello personale pari al 3,2%. Questo valore corrisponde a una diminuzione media della disponibilità energetica giornaliera per persona di circa 99 kcal, a una minore assunzione di frutta e verdura del 4% (circa 15 g al giorno) e a una diminuzione del consumo di carne rossa dello 0,7% (0,5 g al giorno). Per quanto possano sembrare piccoli questi valori, in realtà, si traducono in circa 529mila morti in più, a livello globale entro il 2050, rispetto a uno scenario senza cambiamenti climatici, nel quale l'aumento di disponibilità di cibo, avrebbe permesso di prevenire 1,9 milioni di morti. In altre parole, le morti previste dallo scenario con i cambiamenti climatici, rappresentano ben il 28% di persone in meno che si potrebbero salvare grazie a una migliore alimentazione possibile nello scenario senza i cambiamenti climatici attesi entro il 2050. Al contrario, l'adozione di strategie di contrasto ai cambiamenti climatici potrebbe ridurre il numero di queste morti "aggiuntive" in una misura compresa tra il 29 e il 71%, in base alla minore o maggiore stringenza delle azioni di contrasto.
LE CONSEGUENZE DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI, AMPLIFICATE DALLE DISUGUAGLIANZE
Nel complesso i Paesi che, secondo lo studio inglese, sarebbero colpiti con maggiore probabilità sono
quelli a reddito medio-basso, soprattutto nelle aree geografiche del Pacifico occidentale (264000 morti) e
del Sudest asiatico (164000), con i tre quarti quasi delle morti previste, concentrate in Cina e India. Anche
l'Europa non sarebbe risparmiata e, su una base pro-capite, le nazioni maggiormente colpite sarebbero la
Grecia (con 124 morti per milione) e l'Italia (89 per milione).
Altre informazioni interessanti riguardano il modo in cui i cambiamenti nella composizione delle diete
alimentari potranno manifestarsi nelle diverse aree geografiche, anche in funzione della qualità di vita
preesistente e del reddito. Così, l'impatto maggiore della ridotta assunzione di frutta e verdura si
avrebbe nei Paesi con reddito più alto e sarebbe responsabile del 58% delle morti causate dai
cambiamenti alimentari in quelle nazioni.
A seguire, i Paesi con reddito medio-basso dell'area del Pacifico occidentale (74%), dell'Europa (60%) e
del Mediterraneo orientale (42%). Viceversa, le morti in più, dovute all'aumento complessivo della
malnutrizione, raggiungerebbero i livelli massimi in Africa e nel Sudest asiatico, dove le condizioni
alimentari già sono particolarmente precarie.
Come ha dichiarato Springmann: "E' probabile che i cambiamenti climatici avranno un notevole e
negativo impatto sulla mortalità futura, anche in presenza di scenari ottimistici. Sforzi di adattamento
devono essere messi in campo rapidamente. I programmi di sanità pubblica mirati a prevenire le malattie
legate a fattori di rischio quali il peso o l'alimentazione (come l'aumento del consumo di frutta e
verdura), devono essere rafforzati in via prioritaria per aiutare a mitigare gli effetti dei cambiamenti
climatici sulla salute".
La comunità scientifica internazionale, intanto, sembra aver accolto con attenzione e interesse i risultati
dello studio britannico, cogliendone le profonde implicazioni sociali ed economiche anche oltre i confini
della pura ricerca scientifica. Lo testimoniano Alaistair Woodward dell'Università di Auckland (Nuova
Zelanda) e John Porter dell'Università di Copenhagen, che hanno rilevato come Springmann e i suoi
abbiano rivolto il dibattito su clima e cibo in una direzione nuova e necessaria, evidenziando importanti
aspetti della sicurezza alimentare e nutrizionale ma sollevando, al contempo, molte questioni che
richiedono un attento esame.
Ora resta da vedere se e fino a che punto, i legislatori e, in generale la società civile, sapranno cogliere
questi stessi aspetti e agire di conseguenza.
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MA QUANTO CI COSTANO I DISASTRI CLIMATICI?
E' ' questa una voce in passivo da mettere nel nostro libro delle entrate e delle uscite. E' una voce abbastanza pesante che incide profondamente anche sul PIL di ogni nazione. Non si può quindi mettere la testa sotto la sabbia e sperare che non accada nulla! Negli altri Paesi civili questa voce negativa è già considerata sul bilancio statale, da noi è quasi ignorata. Intanto il nostro "Stato" sa che alla fine, in caso di disastri ambientali può trovare e prelevare i soldi dai soliti cittadini attraverso tasse e balzelli in genere. Sarebbe invece il caso di stabilire un fondo congruo capace di sostenere situazioni economicamente pesanti in caso di calamità naturali. Vediamo allora quanto incidono le calamità meteoclimatiche nelle nostre tasche. Dal dopo guerra ad oggi le casse dello Stato e le tasche degli italiani hanno dovuto far fronte ai danni provocati da terremoti, alluvioni, incendi di boschi, frane e quant'altro per circa 250 miliardi di euro, con una media di circa 5 miliardi l'anno. Va però specificato che fino al 1990 la media annuale di spese per disastri ambientali e climatici non superava i 3 miliardi di euro l'anno, poi dal 1991 ad oggi c'è stato un crescendo pauroso di disastri meteoclimatici e di terremoti che hanno portato la spesa annua a 7/8 miliardi di euro l'anno. Se a tutto questo ci aggiungiamo le vittime e i feriti e, quindi, le spese sanitarie, le spese di 16 riabilitazione e quelle delle casse integrazioni per le aziende danneggiate e poi i rimborsi all'agricoltura per raccolti distrutti ed i danni alla viabilità su rotaie e su gomme, la cifra annuale supera abbondantemente i 15 miliardi di euro l'anno. Una finanziaria! Passando ad una visione più "planetaria" e restando in tema di vittime del "clima impazzito" gli esperti stimano 400 mila persone morte ogni anno, moltissime delle quali in Africa e in altre zone povere del pianeta. Tale moria è attribuibile alla mancanza di cibo per prolungate siccità, all'acqua poca ed inquinata e alle malattie da denutrizione. Di questo passo secondo esperti della FAO se il clima della Terra dovesse "impazzire ulteriormente" potremmo superare i 100 milioni di morti l'anno. Tutto questo oggi ha determinato un abbassamento del PIL mondiale dell'1,6% , l'equivalente di 1.200 miliardi di dollari. Di questo passo ci dicono gli esperti potremmo arrivare nel 2030 ad accusare, sempre a livello mondiale, un abbassamento del PIL di oltre il 5%. Un disastro incolmabile per le già precarie condizioni finanziarie di nazioni come l'Italia. Restando da noi si è calcolato che il trend di aumento della temperatura e, quindi, un nuovo clima Mediterraneo, porterà siccità estive prolungate con devastanti incendi di foreste, "bombe" d'acqua autunnali con conseguenti allagamenti, smottamenti e frane, aumento dei parassiti che potrebbero distruggere interi raccolti, ricoveri e morti per cause climatiche, ecc, ecc. Senza poi contare i costi per sostenere tutta quella povera gente che fugge da un'Africa sempre più rovente e invivibile. Il tutto per oltre 25 miliardi di costi euro annuali. Una cifra che fa paura e che i governi del futuro sapranno farne fronte? Ricorderanno tutti il famoso "Stern Review" del 2006 , ossia il documento scientifico prodotto dopo 2 anni di studi dallo scienziato Nicholas Stern e presentato al mondo dall'allora leader inglese Blair. Se ne discusse per mesi e mesi ed anche gli scettici alla fine compresero che gli effetti dei cambiamenti climatici avrebbero pesantemente condizionato le economie delle nazioni. Questo studio prevedeva anche una serie di azioni da intraprendere per affrontare le conseguenze di un clima impazzito. Son passati 15 anni è molti politici se ne sono dimenticati, eppure Blair allora nel presentare il documento Stern aveva detto: «Sappiamo cosa sta accadendo e ne conosciamo le conseguenze per il pianeta. Siamo consapevoli adesso che un'azione urgente impedirà la catastrofe e che gli investimenti in tal senso ci torneranno utili nel tempo. Non riusciremo a giustificare il nostro fallimento alle generazioni future». Con un investimento programmato che possa incidere dello 0,5% sul nostro PIL potremmo avviarci verso la strada dell'adattabilità dei fenomeni climatici estremi, intervenendo nelle zone più a rischio esondazioni, frane, incendi boschivi con opere di contenimento e di rafforzamento delle già esistenti infrastrutture. Stessa cosa per prevenire crolli da scosse telluriche: basterebbe sbloccare i fondi del tanto contestato Patto di Stabilità dei comuni per consentire a questi di mettere in sicurezza almeno gli edifici pubblici ricadenti in aree a rischio sismico. Si darebbe così anche respiro all'edilizia ormai in agonia e si produrrebbero decine di migliaia di posti di lavoro. Un vecchio proverbio recita: "meglio prevenire che poi curare". Ed è questa la questione che al momento solo pochi parlamentari hanno posto all'attenzione di molti governi del pianeta. Quindi sul tema dei rischi seri dovuti ai cambiamenti climatici si continua a vivere alla giornata sperando che in futuro non accadano altri disastri come questi di agosto e settembre 2021. Ma non è con gli scongiuri e con le preghiere ai Santi che possiamo fermare il trend negativo di un clima impazzito, ci vuole ben altro...... Glasgow è una speranza!
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